giovedì 16 gennaio 2025

Luigi Natoli: La villa del Ricevitore, alle falde del Monte Grifone. Tratto da: Coriolano della Floresta (Seguito a I Beati Paoli). Romanzo storico siciliano

La Villa del Ricevitore, così detta perché rifatta e abbellita di piante e di fiori, di viali e boschetti, secondo il gusto dei tempi, dal bailo e ricevitore dell’Ordine di Malta don Carlo Reggio di Campofiorito, sorgeva in un vasto podere, che si stendeva fin quasi alle falde del Monte Grifone, in vicinanza del pittoresco convento di S. Maria di Gesù.
Vi si entrava da un cancello, che s’apriva in un alto muro di cinta, fra due pilastri sormontati da vasi rococò di tufo.
Il cancello metteva in un viale assiepato di bosso e di aranci amari; in fondo al quale sorgeva la palazzina, in forma d’un piccolo castello, con la sua torre quadrata e merlata. E forse anticamente era una di quelle torri sparse nella Conca d’Oro, e delle quali ancora sopravvanzano i ruderi.
Aveva un pianterreno e un piano superiore. La scala di pietra era esterna. Non aveva atrio o corte interna: una spianata dinanzi al castello, non vasta, di forma semicircolare, limitata da una spalliera di bosso, e in mezzo alla quale era il pozzo, faceva le veci della corte.
Ai lati del viale d’accesso, intorno, dietro la palazzina, per breve tratto, si stendeva il giardino, con viali ombrosi, che giungevano fino al muro di cinta, con siepi di bosso e di roseti, e con arbusti dai rami tagliati secondo il gusto dei tempi.
Il muro di cinta correva per un tratto sul sentiero, volgeva poi seguendo la linea di confine, e chiudendo il podere tutto quanto.
La palazzina o, come la chiamavano, la Torre, era in quei giorni abitata.
V’era a villeggiare il marchese della Crociera, ricco gentiluomo, di famiglia originaria di Spagna, il quale aveva occupato cariche sotto Carlo III; era stato a Vienna con l’ambasciatore del re di Sicilia, allorché s’era trattato il matrimonio dell’infante Ferdinando con l’arciduchessa Maria Carolina; e dal marchese Tanucci, primo ministro durante la reggenza e i primi anni del regno di Ferdinando, era stato incaricato di difficili missioni diplomatiche.
Ritornato da pochi mesi in Palermo, dove per altro lo chiamavano i suoi interessi, le istanze della moglie, e una strana malattia della figlia, da quindici giorni, per consiglio dei medici, aveva condotto la famiglia nella Villa del Ricevitore.
Don Ottavio Oxorio y Roxas era un uomo di forse sessant’anni, magro, asciutto, bruno di carnagione, d’aspetto arcigno e chiuso; autoritario e orgoglioso della sua nobiltà e dei suoi meriti.
Aveva trovato nella moglie uno spirito adatto: l’anima gemella che sentisse come l’orgoglio del proprio casato. Donna Gabriella Albamonte, unica figlia di don Blasco duca della Motta e di donna Violante, era una dama ancor di bell’aspetto, non ostante si avvicinasse ai cinquant’anni; ma superba fin quasi al fanatismo di sé.
Prima nata dal matrimonio di Blasco da Castiglione, bastardo di don Emanuele Albamonte, con donna Violante, figlia di don Raimondo della Motta, non aveva avuto altre sorelle per contenderle l’amore paterno; aveva avuto due fratelli, dei quali il cadetto era stato posto nel monastero dei Benedettini di San Martino delle Scale; il maggiore, futuro erede dei beni e dei titoli non aveva potuto o saputo prendere il primo luogo nel cuore del padre. Emanuele era il prediletto di donna Violante; Gabriella, la prediletta di Blasco.
Forse a questa predilezione non era estranea la memoria di quell’altra donna Gabriella, innamorata e sventurata, che aveva avuto una parte viva e indimenticabile, nella vita di Blasco.
La fanciulla, educata in monastero nella sua puerizia, era stata ripresa in casa, appena compiuti i sedici anni: e ne era diventata la padrona di fatto.
Orgogliosa, superba, dispotica, aveva ben presto fatto pesare la sua volontà.
La debolezza dei genitori lasciò sviluppare quei sentimenti, che al loro affetto si presentavano con una colorazione diversa dalla realtà.
A diciotto anni sposò don Ottavio Oxorio: da questo matrimonio nacquero quattro figli, tre maschi e una femina.
Il primogenito don Filippo, che all’epoca di questa storia aveva circa ventinove anni, e portava il titolo di conte di Pietramola, si era accasato, e stava in Spagna, presso la corte del re Carlo III; il secondogenito don Blasco, era capitano di uno squadrone di cavalleria nell’esercito di sua Maestà Cesarea; il terzo, don Ignazio, era benedettino nello stesso monastero dello zio materno.
In casa non v’era che la figlia, donna Giovanna, fanciulla di sedici anni, nata nove anni dopo don Ignazio.
Giovanna era l’antitesi dei suoi genitori, per una di quelle reazioni naturali che fanno assai spesso i figli dissimili dai genitori, specialmente dal lato morale.
Cresciuta in un ambiente nel quale il sentimento aristocratico giungeva al fanatismo; ella invece aveva uno spirito di affettuosa benevolenza e di fraternità verso gli umili; e portava nella casa un sorriso di bontà che mitigava l’asprezza altezzosa dei genitori.
V’era forse in lei qualcosa dell’avola, una goccia di sangue di Cristina Giorlanda, la dolce e mite creatura plebea, che avea partorito Blasco...



Luigi Natoli: Coriolano della Floresta (seguito a I Beati Paoli). Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo del Settecento. 
L'opera è la fedele trascrizione del romanzo originale pubblicato in dispense dalla casa editrice La Gutemberg nel 1914.
Pagine 1387 (due volumi). Prezzo di copertina € 30,00
Copertine di Niccolò Pizzorno.
Immagine del post generata con I.A.
Il volume è disponibile:
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