giovedì 2 febbraio 2023

Luigi Natoli: Il palazzo reale di Palermo nel 1789. Tratto da: Calvello il bastardo. Romanzo storico siciliano.

Il palazzo reale, dimora del vicerè dal secolo XVI in poi (prima abitavano nel Castello a mare o nello “Steri”, o palazzo dei Chiaramonte, ceduto poi al Sant’Offizio, e oggi ai Tribunali) sorge in capo alla via principale, allora battezzata col nome di Via Toledo, ma dal popolo, come anche oggi, detta Cassaro, dall’antica denominazione araba. È un vasto edificio, o meglio l’aggregato di parecchi edifici, sorti per aggiunzioni posteriori o per trasformazioni di alcune antiche parti. Della sua forma primitiva non rimane più nulla; però sono ancora riconoscibili le masse pesanti di due torri delle quattro che lo fortificavano, quando esso era castello o rocca, sotto gli Emiri e poi sotto i re Normanni e Svevi. In una di esse la torre di S. Ninfa, la più visibile, si trova ora la Specola, o osservatorio astronomico, che all’epoca del nostro racconto era stato istituito da un anno; l’altra si indovina nell’ala che domina la sottostante Porta di Castro, ora distrutta. Gli appartamenti regali occupavano ancora la parte centrale, cui tolse l’aspetto di fortezza, e ridusse nella forma presente, il vicerè marchese de Villena.
La storia di questo palazzo è la storia di Palermo; e in gran parte anche della Sicilia. Tutte le vicende liete e tristi dell’isola vi sono legate intimamente, da quando la città divenne capo di regno. Da lì Ruggero II spinse l’avido sguardo sognatore di più alto scettro; da lì Federico II iniziò la sua lotta cinquantenaria contro la teocrazia, primo a intendere la laicità dello Stato. Giorni di servaggio e di indipendenza. Rivoluzioni baronali e di popolo; occulte e palesi tirannie e voci di libertà, si librarono da quel palazzo, or come stormi di avvoltoi rapaci, or di audaci aquile. Nelle aule di quel palazzo, Federico raccolse la bella scuola dei suoi poeti volgari; Ferdinando IV decretò le stragi del 1799; Garibaldi proclamò la libertà della Sicilia. Lì si adunavano i Parlamenti; sedeva la deputazione del regno, vigile custode delle costituzioni e delle guarentigie dell’isola; ivi i supremi tribunali.
Su per le stanze, intrighi ed amori e ordini occulti di morti misteriose, si alternavano col fasto borioso dei vicerè spagnoli e con l’ostentazione delle pratiche religiose; o scoppiavano fieri conflitti fra il potere viceregio e la potenza baronale...
Espugnare il Palazzo significava avere la città in potere. Nel 1648, il cardinal Trivulzio, venuto a reggere l’isola, faceva abbattere alcuni edifici monumentali che vi sorgevano da presso, e fra essi una basilica eretta da Belisario, per costruire due bastioni in difesa del Palazzo. Quei bastioni, propugnacolo di tirannide, furono smantellati nel 1848 dalla rivoluzione vittoriosa. All’epoca del nostro racconto, cioè nel 1792, erano in piedi, cinti di fosso, muniti di artiglierie pronte a far fuoco.
Per andare al Palazzo bisognava passare fra’ due bastioni. La porta principale, sormontata da una magnifica aquila marmorea, era custodita dalla guardia svizzera; e guardie si trovano su per la magnifica scala di marmo rosso di Castellammare. Le carrozze e le portantine si fermavano dentro l’ampia corte, a doppio ordine di portici; quelli del primo piano mettevano agli uffici e agli appartamenti. Un corridoio conduceva a quelli regali.
Dopo le sale di servizio, si trovava il grande salone dove S. E. il vicerè teneva le solenni udienze, e dove si radunava il Parlamento. L’antica aula del Parlamento era giù, al pianterreno; l’aveva decorata di pitture Pietro Novelli; v’era fra l’altro dipinta la cerimonia dell’apertura del Parlamento e quella dell’atto di fede solito a celebrarsi dal Sant’Offizio; ma il capriccio di un vicerè abolì quell’aula, cui si legavano tante memorie; e ne fece scuderie. Le rappresentazioni pittoriche del Novelli non udirono più che nitriti e bestemmie.
Il Parlamento fu trasportato negli appartamenti regali; e il vicerè don Francesco d’Aquino, principe di Caramanico, poco dopo il suo arrivo, ne fece dipingere a fresco la grande aula, facendovi rappresentare sul soffitto l’allegoria della Maestà regia protettrice delle scienze e delle arti.
Oggi quelle pitture non esistono più.
Pochi anni dopo, re Ferdinando le fece cancellare, per fare dipingere dal pittore Giuseppe Velasquez le fatiche e l’apoteosi d’Ercole. Forse per non vedere in quella simbolica Maestà regia un’ironia a quelle virtù che egli non ebbe mai.


Luigi Natoli: Calvello il bastardo. Romanzo storico siciliano ambientato nella Palermo di fine Settecento. Il volume è la ricostruzione del romanzo originale pubblicato in dispense con la casa editrice La Gutemberg nel 1913.
Pagine 880. Prezzo di copertina € 25,00
Copertina di Niccolò Pizzorno.
Disponibile dal catalogo prodotti della casa editrice al sito www.ibuonicuginieditori.it (consegna a mezzo corriere in tutta Italia)
Disponibile su tutti gli store online e in libreria. 

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